Un esempio di comunicazione etica bellissimo
9 Febbraio 2021

È un esempio di comunicazione etica bellissimo, nella sua struttura, perfetto. Non scopriamo certamente adesso il talento del regista Giuseppe Tornatore, ma la realizzazione dello spot relativo alla vaccinazione anti-Covid è una perla di comunicazione etica e dei suoi paradigmi. 

 

Un esempio lampante di come la comunicazione può essere sviluppata in modo estremamente efficace ed efficiente, senza per questo però mancare i propri obiettivi fondamentali: portare alla riflessione e alla scelta di comportamenti diversi. 

Il video, per chi non avesse avuto modo di vedere lo spot e visibile su youTube. 

 

Indipendentemente dal proprio personale orientamento in merito al tema della vaccinazione, vale la pena guardare lo spot con un occhio positivo per la scelta comunicativa effettuata. 

Come in tanti altri casi e contesti, il tema è particolarmente delicato, coinvolgendo valori molto personali, convincimenti e orientamenti particolari. 

 

La grande abilità realizzativa, dal punto di vista della comunicazione è quella di traferire un messaggio di alto contenuto emotivo senza alcun tipo di manipolazione. 

Un principio fondamentale della comunicazione etica riguarda per l’appunto la ferma disposizione a non cercare di manipolare il contenuto per ottenere un comportamento voluto dal mittente ma non dal ricevente, ma soprattutto a vantaggio esclusivo o prevalente del mittente. 

Chi ha commissionato lo spot ha certamente l’obiettivo di aumentare la sensibilità verso la scelta della vaccinazione, ma se proviamo ad analizzare le varie parti strutturali, vediamo che c’è un profondo rispetto del destinatario da parte dell’emittente. 

 

La storia raccontata eticamente

Lo storytelling scelto ha una ambientazione ben precisa e purtroppo reale: un ospedale. Chiaro riferimento ad un luogo facilmente conosciuto riconoscibile da chiunque. Non c’è la volontà di manipolare lo spettatore nell’ambientare in un contesto marcatamente pieno di dolore fisico, ma la volontà di utilizzare uno spazio aperto, tranquillizzante, ma che incuriosisce e cattura l’attenzione per la presenza dei teli trasparenti che ondeggiano. 

Una scelta molto diversa rispetto ad alcune comunicazioni sociali che “sventolano” il dolore di un bambino in zone di guerra o di carestia per fare leva sul senso di colpa tramite la visualizzazione della sofferenza.

La comunicazione etica, così come l’ho intesa e strutturata nel disciplinare relativo, è concepita in netta opposizione all’idea di sollecitare immagini negative di sé al ricevente. Purtroppo però, molta parte della comunicazione commerciale agisce su questa leva. 

 

Lo sviluppo delle neuroscienze e la ricerca motivazionale hanno radicalmente cambiato l’attività dei pubblicitari e la loro capacità di influenzare il proprio pubblico. In molti casi infatti, cercano di giocare su stimolazioni inconsce al fine di generare bisogni che inducano all’azione di acquisto. 

A partire dagli anni ’50 una schiera di psicologi e sociologi diventano parte integrante delle squadre di marketing aziendali. 

 

Nel corso degli stessi anni hanno preso avvio le logiche e le tecniche di ingegneria sociale capaci di definire le classi sociali e di orientare i comportamenti di consumo. 

Il termine ingegneria sociale ha origine nelle scienze sociali, dove indica qualsiasi tentativo da parte dei principali attori del cambiamento (ad esempio media, governi o gruppi privati) per influenzare o modellare il comportamento della popolazione di riferimento.

 

In pratica, l’ingegneria sociale sfrutta la manipolazione per raggiungere un obiettivo, sia esso buono (ad esempio, la promozione della tolleranza) o cattivo (ad esempio, una campagna bellicista). 

Tornando allo spot citato, utilizza una situazione di incontro tra madre e figlia e si sviluppa attraverso un dialogo molto semplice, assolutamente quotidiano, ma soprattuto sempre di segno positivo; non si calca mai la mano ma si lascia fluire lo scambio con grande naturalezza:

-“ti trovo in forma” 

-“ me la cavo”

La madre chiede alla figlia in modo assolutamente etico “cosa hai deciso di fare”, sottolineando il fatto che ognuno di noi è il vero decisore e lo spot non fa spiegare alla signora le buone motivazioni per fare il vaccino.

 

La figlia si pone nella posizione di ogni persona comune: 

“Ho riflettuto” – “ho molti dubbi” – “i dubbi aiutano”

 

È l’esplicitazione dell’essere umani, normalmente umani, senza posizioni estremizzanti il senso di responsabilità collettiva o valori altisonanti. 

È l’esempio brillante di quanto sia superfluo l’utilizzo della comunicazione immaginifica alle quale oramai siamo tristemente assuefatti. 

 

Lo sviluppo del messaggio, costruito sulla normalità dello scambio comune, sfrutta ciò che in un libro dedicato, “Comunicazione etica. Manuale di riflessione per l’uomo moderno”, indico come competenza empatica:

“Tutti gli essere umani sono geneticamente dotati di empatia, ovvero della capacità di riconoscere le emozioni vissute dai propri simili, ma ciò che distingue le abilità sociali di un individuo è la competenza empatica. Questa consiste nella capacità di tradurre la lettura emotiva in azioni e comportamenti utili allo scambio etico tra le parti. Spesso infatti, le persone sanno cogliere perfettamente lo stato emotivo di tristezza o di dolore vissuto dal proprio interlocutore, ma non sono in grado di mettere in atto un comportamento consolatorio o supportivo adeguato. Per acquisire questa competenza, è necessario avere la possibilità di apprendere e sperimentare comportamenti abili frequentando altri individui, confrontandosi con loro in situazioni e contesti particolari, più volte nel corso della propria vita.”

 

Sulla stessa scia comunicativa la chiusura raggiunge il massimo dell’impostazione etica del comunicatore: fare leva sul proprio bene che diventa bene collettivo per estensione.

 

“Devi volerti bene.”